Smartwatch: ma servono veramente?

Tra le tante definizioni che sono state date in questi ultimi mesi sugli smartwatch, forse la più appropriata è “una soluzione in cerca di un problema”. Gli smartwatch sono degli orologi ipertecnologici collegati al proprio smartphone, in grado non solo di dirci che ora è, ma anche di fornirci tutta una serie di dati e informazioni senza dover tirar fuori il telefono dalla tasca. Che fatica, eh?

Cosa sono e come funzionano gli smartwatch

Gli smartwatch esistono da anni, ma stanno diventando una moda solo ora che Apple ha annunciato il suo AppleWatch, presto in uscita anche in Italia a costi non proprio alla portata di tutti (il più economico costerà 399 euro, il più costoso ben 18 mila euro). E così in molti stanno cominciando a prendere in considerazione la possibilità di acquistarne uno. Ma perché farlo?

A livello di hardware, gli smartwatch sono degli smartphone molto scadenti. Sono piccoli, con schermo spesso illeggibile, un touchscreen non molto reattivo, dotati di applicazioni limitate ed una batteria molto scarsa visto che mediamente bisognerà ricaricarli ogni giorno. Duri da usare, non c’è eccezione tra i modelli Apple, Samsung, Sony o quelli di altre marche ancora: è molto più comodo da usare il tradizionale smartphone.

Utilizzo degli smartwatch

Al momento dell’uscita, AppleWatch metterà a disposizione 24 applicazioni, ma dalla casa di Cupertino fanno sapere che ne hanno autorizzate già oltre mille, provenienti dagli sviluppatori esterni. Abbiamo già parlato dei videogiochi, ma ovviamente ce ne saranno di tutti i colori. La prima, e più ovvia, è quella che ci dirà l’orario (sai che novità, trattandosi di un orologio). La maggior parte delle altre riguarderanno le notizie. Dal New York Times in poi, molti grandi giornali hanno già sviluppato la loro app per smartwatch. Bisogna solo capire come leggere le news visto che lo schermo non è molto fruibile.

Molte applicazioni riguardano informazioni di entertainment come risultati sportivi, film al cinema, orari dei treni e degli aerei e così via. L’idea che si sono fatti coloro che già hanno provato le applicazioni e le hanno poi recensite online è che i dati mostrati sullo smartwatch servano solo per attirare l’attenzione dell’utente che poi, per avere un’informazione più completa, è costretto a tirare fuori il cellulare e seguire l’evento, o leggere la notizia, direttamente sullo schermo da 5 pollici. Ma non si era detto che gli smartwatch servivano proprio per evitare di utilizzare il cellulare?

Lo stesso dicasi per le app di chat. L’app di Twitter, per esempio, ti porta a leggere cosa gli altri hanno twittato, ma poi rispondere al tweet diventa difficilissimo su quello schermo minuscolo. E così l’utente è costretto ad usare il touchpad dello smartphone. In ultima analisi sembra confermato che le applicazioni degli smartwatch siano, per usare un termine informatico, reading only, cioè di sola lettura, perché interagire con uno screen così piccolo è pressoché impossibile.

Il giudizio finale è che probabilmente gli smartwatch non siano altro che un gingillo per ricchi che vogliono mostrare il loro status quo con un oggetto palesemente inutile, e che crediamo verrà usato anche poco visto che ricaricarlo tutti i giorni è una schiavitù che non piace a nessuno. Ricaricarlo poi per “non-usarlo”, ma continuare ad usare uno smartphone, ci sembra una vera follia.

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